di Giorgio Aimetti - 30 maggio 2013

Il voto per eleggere sindaci e consiglieri comunali, domenica scorsa, sorprende per più motivi: il forte calo del movimento 5 stelle, imprevisto dai sondaggi, è il primo; l'altissima percentuale di astensioni, il secondo. Meno clamoroso, anche se notevole: il successo quasi generalizzato del Pd.

Il Pd infatti, particolarmente in questa fase, è parsa l'unica forza politica in grado di allineare una squadra di amministratori locali dotata di uomini esperti. In un voto dove esiste non il meccanismo delle primarie (che tende a dividere i partiti) ma quello del voto di preferenza (che invece spinge a unire i consensi di più compagni di lista), ha favorito il partito di Epifani.

Ed ha punito il movimento grillino il quale ha mostrato la corda perché non ha potuto far leva sull'appeal anarchico del suo leader e per confrontarsi con i problemi più vicini al cittadino, quelli del comune, ha dovuto allineare squadre inesperte. Ha pagato così un prezzo pesante ed ha lasciato all'astensionismo il ruolo della protesta che aveva interpretato durante le elezioni politiche. E il numero di quanti non si sono recati alle urne è cresciuto oltre il livello di guardia.

I segnali per il sistema politico non sono confortanti, anche se il governo può tirare il fiato. Si vedrà tra poco più di una settimana se il bipolarismo indotto dal meccanismo a due turni porterà alle urne un maggior numero di elettori. Nella storia della seconda repubblica non è mai stato così. E si preparano dunque nuove geremiadi a tutta pagina di giornalisti politici pronti a versare altro aceto sulle ferite della democrazia rappresentativa. Certo l'esempio che viene dal voto amministrativo dovrebbe essere meditato dal parlamento che invece ancora una volta sembra incapace di mettere a punto un sistema elettorale che non si affidi ai giochi di prestigio del premio di maggioranza, e sopratutto dia spazio al volere degli elettori nella scelta dei loro rappresentanti.