di Dario Lindi - 22 giugno 2013

Il tema delle grandi riforme, al quale si accompagna la riflessione sulla possibile revisione della seconda parte della Costituzione resta una delle chiavi dell’attuale fase politica. Al centro del dibattito restano diverse opzioni, da quella di tipo parlamentare e quella semipresidenziale alla francese.

Nel primo caso il governo deriva dal Parlamento ed è politicamente responsabile nei suoi confronti, mentre al Presidente della Repubblica formalmente spetta un ruolo di garanzia delle istituzioni. È il sistema tedesco che si accompagna alla necessità di andare oltre il “bicameralismo perfetto” sostituendolo con una sola Camera legislativa, affiancata da un Senato Federale delle regioni in modo da rendere più veloce la discussione e l’approvazione delle leggi. A questo mutamento si accompagnerebbe poi l’aumento dei poteri del Presidente del Consiglio e l’introduzione della “sfiducia costruttiva”. Per completare il tutto, una legge elettorale proporzionale con lo sbarramento al 5 per cento per i piccoli partiti in modo da garantire rappresentatività e governabilità.

Nel sistema semipresidenziale, invece, il Presidente della Repubblica viene eletto direttamente dai cittadini, nomina il Governo e detiene importanti poteri che gli consentono di determinare in modo diretto l’azione politica. La maggiore autorevolezza assunta dagli ultimi Presidenti della Repubblica, ed in particolare da Giorgio Napolitano, ha certamente aumentato i sostenitori di questa forma di governo. E’ altresì vero però che in un contesto italiano di profonda crisi dei partiti e della partecipazione politica, l’elezione diretta del Capo dello Stato potrebbe incentivare populismi e tendenze demagogiche. Il sistema, vigente in Francia, inoltre, non è esente da forti elementi di criticità e di contraddizione: basti pensare ai frequenti casi di convivenze “forzate” tra presidenti e maggioranze parlamentari di opposto orientamento politico.