Riforma delle province. Dopo il no della Consulta, una legge costituzionale per cancellarle?
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di Dario Lindi - 5 luglio 2013

Dopo la decisione della Corte Costituzionale che ha bocciato la via scelta dal Governo Monti per riorganizzare le province, il presidente del consiglio Letta ha ribadito l'intenzione di cancellare totalmente quell'ente intermedio, secondo un processo che piuttosto che andare verso il cittadino, stimolandone la partecipazione, appare accentratore. Non si tratta, come voleva Monti di ridurre gli enti da 87 a 51 e istituire 10 città metropolitane oltre a modificare i criteri di elezione dei suoi dirigenti. Si tratta di cancellare anche la memoria costituzionale di organizzazioni che hanno costituito una struttura importante dalla fondazione dello stato unitario italiano.

 

Come è noto, molti le ritengono obsolete e costose per le tasche dei cittadini. Il Movimento Cinque Stelle ha presentato alla Camera una proposta in tal senso che prevede la tutela del personale amministrativo e il passaggio delle competenze alle regioni e ai comuni. Drastica la posizione anche di Scelta civica, orientata verso la soppressione. Più articolato il progetto che veniva da esponenti del Partito Democratico, che partendo dalla modifica dell’art. 133 della Costituzione, in materia di “mutamento delle circoscrizioni provinciali e di soppressione delle province”, proponeva una ridefinizione delle stesse all’interno della Costituzione mentre all’istituzione delle città metropolitane avrebbe dovuto corrispondere la soppressione delle province, nel medesimo territorio, e il relativo trasferimento di funzioni e personale per evitare sprechi ed inefficienze.

 

Le province sono responsabili della gestione e fruizione di servizi fondamentali come la viabilità, la costruzione e il mantenimento degli edifici scolastici, il trasporto pubblico locale extraurbano, le politiche del lavoro e la formazione professionale. In questo quadro una loro abolizione andrebbe accompagnata da una seria rimodulazione delle competenze affidate ai piccoli comuni per evitare che questi ultimi si ritrovino impreparati ad affrontare temi importanti dal punto di vista della programmazione di sviluppo territoriale.

 

Per quanto concerne il costo reale di queste istituzioni, esso è da verificare con attenzione anche per la diversità da regione a regione. E' invece concreto il rischio che un loro ridimensionamento, se non una completa eliminazione, possa comportare una diminuzione dell’offerta di servizi ai cittadini. Un eventuale trasferimento di dipendenti provinciali alle regioni comporterebbe poi un adeguamento degli stipendi, al livello dei lavoratori regionali, più alti di circa il venti per cento, quindi con un sensibile incremento dei costi.

 


 
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