Siria. L'occidente diviso. I rischi di instabilità
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di Dario Lindi - 9 agosto 2013

La situazione siriana evolve verso la fase decisiva assumendo dimensioni sempre più inquietanti, con i venti della “Primavera Araba” che spirano sullo scenario di una nuova guerra fredda. Le parole e i gesti di Papa Francesco perciò non assumono il senso di un generico irenismo, ma quello preoccupato di chi mette la profezia al servizio del senso di responsabilità.

Gli Stati Uniti sono intenzionati ad intervenire militarmente anche senza il parere favorevole delle Nazioni Unite. Il presidente Obama, conta così di punire l'uso di armi chimiche da parte del presidente siriano Assad con un'operazione che secondo il Pentagono - Russia permettendo - dovrebbe concludersi in pochi giorni.

Per la prima volta dopo oltre vent’anni gli americani si apprestano ad agire senza lo storico alleato britannico in quanto il parlamento inglese, per una manciata di voti, ha votato contro l’opzione militare nonostante il parere favorevole del primo ministro David Cameron.

Anche l’Italia - l'altro alleato storico che, da Andreotti a D'Alema e Berlusconi, non ha mai fatto mancare il suo appoggio a Washington dai tempi della prima guerra del Golfo - sulla vicenda sta mantenendo una posizione defilata a sostegno di una soluzione negoziale del conflitto, contraria a interventi militari unilaterali compiuti senza una preventiva risoluzione dell'Onu.

Molti commentatori temono che un intervento militare possa avere ripercussioni pericolose in tutta la zona mediorientale e mediterranea con il rischio di un coinvolgimento di Israele e Iran e di nuove rivolte e scontri politico-sociali come quelli che hanno sconvolto l'Egitto. L'intervento americano potrebbe di nuovo alimentare il latente sentimento antioccidentale, che cova nei gruppi estremisti radicati nei paesi arabi, con il rischio di una nuova ondata di terrorismo internazionale.

 

Dopo le speranze generate dalle rivolte nei paesi arabi non ci sono stati, come invece contava Washington, sviluppi verso un sistema politico e di governo più libero e partecipato. D'altra parte quanto accaduto in Iraq e Afganistan testimonio la difficoltà di imporre la democrazia solo con l’uso della forza.

 

Sarà invece necessario anche un percorso politico e culturale che richiede la formazione di una classe dirigente capace di guardare al futuro promuovendo quelle riforme necessarie per aumentare la libertà e i diritti delle persone - e non di ridurli - in paesi che hanno vissuto a lungo sotto regimi autoritari, e ora rischiano di essere preda del clima di fondamentalismo ideologico e religioso.

 
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