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Distruzione scolastica
Distruzione scolasticaAprono le scuole, iniziano i conflitti. Gli striscioni di malcontento, la fascia nera al braccio e gli sguardi di protesta hanno trasformato questo lunedì 15 settembre 2008, giornata di riapertura della maggioranza delle scuole, mattinata di ricordi incancellabili delle curiose menti di ogni bambino in trepida attesa per il fatidico primo giorno, in una serie interminabile di azioni contro le novità introdotte e annunciate sul fronte scolastico dal ministro dell’istruzione, Maria Stella Gelmini. I cancelli dell’istruzione che si sono aperti questa mattina, hanno accolto l’ira di docenti e presidi che hanno manifestato il loro disaccordo con tanto di striscioni e fasce nere per celebrare la morte della scuola pubblica, capitanati dai consigli dei sindacati che incitavano alla rivolta contro un governo che fra le tante trovate ha deciso di tornare al maestro unico. Secondo le affermazioni del leader Cobas Piero Bernocchi quest’ultima invenzione da libro Cuore del governo “sa di secolo scorso: il suo ritorno impoverirebbe e ridicolizzerebbe la scuola”.  In alcune scuole romane che hanno anticipato l’inizio delle lezioni, erano già comparsi striscioni di protesta che facevano prevedere il peggio. Il malcontento come previsto non si è fatto attendere: una settantina di istituti della capitale hanno aderito all’iniziativa luttuosa partita dall’istituto intitolato a Iqbal Masih (il bimbo pakistano assassinato nel ’95 simbolo della lotta contro lo sfruttamento e la riduzione in schiavitù dei minori) nel quartiere Casilino, che promuoverà per primo le campagne informative sui decreti governativi con tanto di raccolta firme per affrontare a gran voce i provvedimenti del governo. L’Italia torna a farsi sentire dopo aver malamente accettato l’ennesimo cambio di rotta sulle direttive scolastiche, che prendono decisioni sul futuro dei giovani cittadini italiani in un’ottica di risparmio, tagliando i fondi ai poveri insegnanti che dovranno fare la valigie o dovranno accontentarsi di una vita da precari, in attesa di una scuola che li consideri degni di possedere la famosa cattedra. Quegli stessi insegnanti che hanno dovuto sfoggiare il colore nero e che hanno invitato al silenzio le piccole new entry della prima elementare inconsapevoli dell’importanza non troppo educativa di quell’atto, che permette di alzare la testa per dire ancora una volta no. Non è stato possibile accettare ancora una volta un cambiamento non voluto a discapito di quei bambini che mettono in gioco il loro futuro nella scuola e che hanno dovuto vedere troppo presto cosa significa combattere contro le decisioni di un Paese che non li considera. Protestare in questo caso è un dovere, una necessità per proteggersi dalla pressante logica del risparmio a tutti i costi, che sta trasformando un’istituzione sacra come la scuola in una gara a chi si dovrà sacrificare per ultimo, a favore di una politica che ha confuso il nobile termine “istruzione scolastica” con quello sicuramente meno nobile di “distruzione scolastica”.

Silvia Serena

16 settembre 2008
 
 
 
     
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