Il voto imprevisto. La politica al buio
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di Giorgio Aimetti - 26 febbraio 2013

Parlare di sorpresa è dire poco. Il terzo periodo della storia repubblicana esordisce con un voto che ha smentito ogni previsione di esperti e agenzie di sondaggio.

Due gli elementi chiave: il successo oltre ogni previsione di Beppe Grillo e l’inatteso testa a testa fra tre liste con prevalenza finale del centrosinistra al Senato e alla Camera. Il dato è completato dal risultato tutto sommato modesto del centro di Monti che pur raddoppiando quasi i voti ottenuti la scorsa volta dall’Udc - che occupava quella stessa area - non è in grado di garantire alcun tipo di governabilità.

La ripartizione dei seggi al Senato, infatti, non sembrerebbe dare speranze: senza contare gli eletti all’estero, nonostante i premi di maggioranza regionali, solo 119 seggi (5 dei quali ottenuti dagli altoatesini e 7 da Vendola) vanno alle liste collegate a Bersani, 117 a quelle di Berlusconi , 54 a Grillo e 18 a Monti, uno agli autonomisti valdostani. Alla Camera, dove il centro sinistra ha prevalso, ma con meno del 30% dei voti, Il Pd ottiene 292 seggi (ne aveva 211), Sel 37, i Centristi di Tabacci 6, i sudtirolesi 5. La lista 5 stelle, primo partito in voti al fotofinish, 108 seggi, il Pdl 97 (ne aveva 272), la Lega nord 18 (da 60 che aveva) e Fratelli d’Italia, di Crosetto, 9 seggi. Con Monti saranno 37 deputati e l’Udc si ritrova con soli 8 seggi. Fuori dal Parlamento, Fini.

Il movimento 5 stelle che i più pensavano potesse alimentarsi su quanti non andavano più a votare, in realtà ha portato via consensi a destra come a sinistra senza intaccare il non voto che - segno ancora più preoccupante - è cresciuto del 6% attestandosi sui massimi storici. Marginali, poco più di un milione, le schede bianche e nulle.

L’exploit dei grillini ha eroso il consenso che era dell’estrema sinistra, di Italia dei Valori e del Pd ed ha scavato voragini nell’elettorato di destra. Alla Camera poi ha ottenuto una buona parte del voto dei giovani, che, più colpiti dalla politica di rigore si sentono il futuro rubato e si sono resi disponibili a votare per un’alternativa qualsiasi. Difficile parlare di voto di protesta, in questo caso: è stato piuttosto un voto disperato e disperante. Il centro vede la sua rappresentanza politica stravolta. La scommessa di Casini si è rivelata rovinosa per lo scudocrociato.

I dati del Senato hanno visto prevalere di misura, quanto a voti popolari, l’alleanza raggruppata intorno al Partito Democratico che si piazza anche al primo posto come forza politica singola, benché insidiato da vicino dal movimento Cinque stelle. Cancellate le molte altre liste a cominciare da quella dei magistrati Ingroia e Di Pietro. In numero di voti il Pd ha ottenuto 8 milioni e 400 mila voti circa Sel 912 mila, altri del centro sinistra 370 mila. Il Pdl ha conquistato invece 6 milioni e 829 mila voti. La lega 1 milione e 328 mila, altri legati a Berlusconi 1 milione 250 mila. A Cinque stelle sono andati 7 milioni e 285 mila voti. A Scelta civica, di Monti 2 milioni e 797 mila e 1 milione e 420 mila gli altri partiti che non avranno rappresentanza

Alla Camera l’arrivo è ancora più ravvicinato. Prevale il centro sinistra sulla destra Berlusconiana, ma Grillo è a pochissima distanza da questa e ottiene addirittura il primo posto tra i partiti ai danni di quello di Bersani. Il centro si attesta al 10,5% superando lo sbarramento del 10% e consente all’Udc ma non a Fini di essere ancora presente nel parlamento.

Più impressionante il confronto sul voto popolare raccolto nelle precedenti elezioni.

Pd 8 milioni e 642 mila voti, ne aveva 12 milioni e 95 mila.
Sel 1 milione e 90 mila voti. La scorsa volta aveva ottenuto 1 milione 124 mila voti insieme con Bertinotti.
Sudtirol Volkspartei e Tabacci meno di 320 mila voti.
Pdl 7 milioni e 332 mila voti contro 13 milioni e 629 mila del 2008.
Lega 1 milione e 390 mila voti (meno di metà dei 3 milioni e 24 mila del 2008)
Fratelli d’Italia 666 mila voti (assenti 5 anni fa)
Cinque stelle 8 milioni 688 mila voti (non c’era nel 2008)
Scelta Civica-Monti 2 milioni 824 mila voti (non c’era nel 2008)
Udc 608 mila voti (ne aveva 2 milioni)

Le indagini della magistratura su vicende clamorose (Montepaschi e Finmeccanica in primis) e un battage di stampa che è riuscito anche a trasformare in scandalo persino i rimborsi spesa per la Nutella hanno contribuito a creare, almeno in parte, il clima favorevole per un successo a valanga del capopopolo  genovese che già mieteva voti grazie al dissenso diffuso verso il governo di grande coalizione.

Grillo ha indossato i panni del fustigatore proponendo la distruzione del sistema dei partiti e ricette per il futuro dell’Italia che appaiono tuttora confuse. Sulle sue proposte occorrerà pure far luce nelle prossime settimane, perché, in mancanza di un governo, si tornerà presto alle urne con risultati presumibilmente ancora più favorevoli per il movimento Cinque stelle.

Sarà messa in discussione, per la prima volta nella storia, la nostra collocazione internazionale. Sarà in forse la stessa adesione all’area euro (al Senato, tra Berlusconi e Grillo già ci sono i numeri per una maggioranza euroscettica).

Non ne esce bene il “sistema paese” dopo un anno di celebrazioni sul buon governo dei tecnici. Il consenso della gente verso le scelte politiche del ministero non è mai stato così basso. Neppure ai tempi del crollo del sistema democristiano. La sinistra giustizialista è stata cancellata. I mezzi di informazione, snobbati dai seguaci di Grillo, non sono riusciti ad intercettare (se non forse negli ultimi due o tre giorni) l’opinione della gente. Non l’hanno compresa né l’hanno saputa descrivere. Gli stessi istituti dei sondaggi di opinione (che pure si occupano di una scienza esatta) si sono dimostrati inaffidabili e incapaci oltre misura.

Nel complesso il colpo alle istituzioni è stato molto severo. Il timore è che le forze politiche tradizionali non siano in grado di riaversi dal disastro. Il tempo dirà se quelle che hanno visto crescere i loro consensi (il movimento Cinque stelle e il centro di Monti) mostreranno di avere una classe dirigente all’altezza della crisi.