Grecia, dopo il no, la resa.
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17 Luglio 2015


di Giorgio Aimetti

 

Solo in questi ultimi due giorni appare evidente l'incredibile leggerezza compiuta da chi aveva convocato un referendum che logicamente doveva servire a rafforzare il governo ellenico in carica e altrettanto logicamente si è concluso con scelte drammatiche. I moti di piazza, animati da una sinistra estrema che da tutta Europa aveva scommesso sull'intransigenza di Tsipras (al quale si intitolano, tra l'altro molti movimenti politici di vari paesi dell'Unione, Italia in testa), sono la testimonianza che il no che aveva vinto, più che rafforzare ha paralizzato il presidente del consiglio greco.

Di fronte alle due alternative: piegare la testa o uscire dall'euro, Tsipras ha scelto la prima, anche se il no avrebbe dovuto spingerlo a fare il contrario. Probabilmente il capo di governo finirà per ottenere presto anche la seconda, condannando anche quanti hanno scommesso su di lui (Grillo ha persino fatto il verso alle Br tweettando: colpirne uno per educarne 19). Quanto è accaduto in realtà mostra da una parte che la scelta durissima per la Grecia è tuttavia foriera di conseguenze meno gravi di quelle che ci sarebbero state uscendo dalla moneta unica; dall'altra, che ogni paese si ritrova con i governanti che si è scelto, senza alcun riguardo alle memorie storiche.

Si sono letti commenti a cascata su chi ha vinto e chi ha perso. L'impressione è che abbia prevalso comunque un modo pre-keinesiano di intendere l'economia europea. E questo, in un momento nel quale le grandi finanze mondiali (da quella americana a quella giapponese) stanno percorrendo strade differenti, rischia di condannare la maggior parte del vecchio continente ad una recessione senza limiti di tempo. Lo ha capito Hollande che si è battuto perché fossero scelte strade diverse, sembra averlo inteso anche Renzi, ma i loro auspici sono stati spazzati via da una Germania che non ha rivali nell'Unione, che si è mostrata aggregante nei confronti dei nuovi paesi associati, e si candida quindi ad una leadership senza rivali, che è destinata a produrre nuove crisi, e non solo economiche, nell'Europa.