Partiti in crisi in tutta Europa, ma ancora necessari. La lezione di Donat-Cattin
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27 Maggio 2015

di Giorgio Merlo

Con l'approvazione dell'Italicum molti hanno sostenuto, con un pizzico di fondamento, che si chiudeva definitivamente la stagione dei partiti organizzati del passato dando vita ai cosiddetti partiti “comitati elettorali”. E questo non solo per la norma prevista nella legge elettorale del premio di maggioranza alla lista, cioè al partito, ma perché proprio quella norma impone la formazione di due grandi contenitori elettorali che si contenderanno la vittoria finale. O al primo turno o al ballottaggio. Ora è indubbio che i partiti ad alta intensità organizzativa del passato e con un profilo politico e culturale ben definiti e caratterizzati sono ormai alle nostre spalle.
Ma la domanda centrale a cui, però, adesso va data risposta compiuta e sincera è questa: è davvero finita la tradizione dei partiti politici organizzati, radicati nel territorio, con una classe dirigente definita e attrezzata?
Ecco: io non credo che basti una nuova e diversa regola elettorale per modificare definitivamente il modo d'essere dei partiti politici italiani. Certo, il “valore aggiunto” dei vari leader ha segnato una netta e radicale discontinuità rispetto ad un passato anche recente per la vita concreta dei partiti. Come, del resto, non è più destinata a ritornare quella stagione dei partiti “identitari” o dei partiti “pesanti” che abbiamo conosciuto per lunghi decenni nella storia politica italiana. Ma sono proprio i comitati elettorali ad averla definitivamente vinta? Ci sono molti segnali che lasciano pensare che questo possa essere il concreto epilogo della profonda trasformazione della politica intervenuta in questi ultimi mesi. Ma la tradizione di conservare la democrazia nei partiti, la volontà di mantenere questi strumenti politici che promuovono e favoriscono la partecipazione popolare in modo permanente e non solo saltuario, la necessità di continuare a ritrovarsi in luoghi per confrontarsi e dialogare sui principali temi politici e programmatici difficilmente passa di moda. A volte il bisogno e la domanda di democrazia possono avere il sopravvento rispetto ad una presunta modernità.
E la vita e la presenza dei partiti organizzati, radicati nel territorio e luoghi di elaborazione e di confronto politico e culturale, nonché di selezione di classe dirigente, possono ancora avere un ruolo e una funzione importante e insostituibile per la stessa conservazione e qualità della nostra democrazia. Una tradizione che, per quanto mi riguarda, è racchiusa in un pensiero che ci ha tramandato negli anni '80 un grande politico, Carlo Donat-Cattin, quando ci ricordava che “il partito è lo strumento democratico per eccellenza capace di trasformare i ceti popolari da classe subalterna a ceto dirigente del nostro paese”. Una lezione quantomai arttuale e moderna.


 
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