di Giorgio Aimetti - 18 aprile 2013
La prima giornata del voto per il presidente della Repubblica ha messo in luce, come peraltro s’era previsto senza difficoltà, le grandi divisioni che interessano il Partito democratico. Non si tratta solo della fronda renziana a mettere in difficoltà la compagine di Bersani.
La bocciatura della candidatura Marini, scelta per ottenere la convergenza del centro destra, infatti si è accompagnata con una sorta di “liberi tutti” che si è particolarmente manifestato nel secondo scrutinio, con la vasta area di grandi elettori del Pd che non hanno neppure accolto l’invito a votare scheda bianca.
Nel partito si manifesta molto forte l’idiosincrasia per un’alleanza anche solo istituzionale con Berlusconi, mentre non è ancora maggioritaria la tendenza di chi è disposto a seguire l’invito di Grillo ad arrendersi alle proposte di 5 stelle.
Per la verità anzi nel passaggio dal primo al secondo voto il candidato del movimento grillino, che ha puntato su Rodotà, ha perso qualche consenso, col crescere invece del suffragio per Chiamparino e D’Alema.
Pare evidente ora che la scelta andrà su un nuovo nome, ma è difficile immaginare chi possa riunire il partito. Del centro destra basta dire che ha mostrato una compattezza che potrebbe tornargli molto utile nell’ipotesi di un voto anticipato.
Marini avrebbe raccolto schede bianche anche nel gruppo montiano ufficialmente a lui favorevole. E non sorprenderebbe dal momento che quello schieramento, riunito finora in nome dalla politica di rigore perseguita dal suo leader, difficilmente sembra disposto a riconoscersi nella candidatura di un personaggio che viene dal mondo sindacale e che ha sposato in genere tesi economiche differenti, come quelle, per intenderci, che stanno riprendendo quota nell’America di Obama.
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